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lunedì 12 maggio 2014

Intervista a Željko Cimprič

      
Nastro 1996-10                 Lato B  (da 06:50 a 12:02)             30 agosto 1996 
 
Intervista registrata nella sede (direzione) del Museo di Caporetto. 

Mio nonno raccoglieva i feriti e i morti, durante la 1^ guerra, e fu così che ha perso la fede in Dio…   
L'altro mio nonno era di Volzana e si trovava a Mèngore (la collina sopra Volzana), dove sopra c'è la chiesetta di Santa Maria di Mengore…  
Santa Lucia invece è il nome italiano di Most Na Soči = ponte sull'Isonzo. 
Mio nonno si trovava in una situazione che, si può dire, sparava contro casa sua… perché in paese c'erano gli italiani e nella collina gli austriaci: era la famosa “testa di ponte di Santa Lucia”.  
Pubblicazioni sui profughi… ce ne sono, ma in sloveno. Da Plezzo, Tolmino sono stati profughi in Austria… ma anche da altre parti lo sono stati, ad esempio mio suocero che era da Vogrsko… e lì c'era una postazione di cannoni austriaci, e il primo tiro che arrivò distrusse la casa.Traduce un passo del libro di Petra Svoljšak sui profughi… «Alla metà del dicembre del 1915, quando sono stati allontanati dal comune di Kred fino al 20 giugno del 1916 (quel) gruppetto è stato nell'albergo dei poveri Ferruccio Ferrucci (in Liguria, prov. di Imperia), e sono andati nel monastero dei frati minori » e così via … 

Nastro 1996-11              Lato A (da 20:49 a 31:12)    30 agosto 1996   
L'idea di creare questo museo è stata di un nostro amico, è della mia stessa classe, nati nel 1951, si chiama Likar Sdravko Ascolta l’audio, con trascrizione 

Nastro 1996-11             Lato B     (da 29:47 a 31:38)
Personaggi importanti che sono venuti al museo di Caporetto.  Segue Audio 

Nastro 1996-12            Lato A
Abbiamo partecipato e abbiamo vinto il premio del Consiglio d’Europa 1993…    04:17 =  Fine di Audio


Per quanto riguarda le università, è come quando un muratore viaggia per le città e guarda se i muri sono fatti bene… così la gente dell'università crea i musei per la gente universitaria, non per la gente semplice… mentre uno che si mette nella pelle dei visitatori può fare anche la mostra, per i visitatori. Questa è la funzione [del nostro museo]: non è un museo per fare le ricerche, perché un professore dell'università vuole mostrarsi, confrontarsi con i colleghi, parlare nella loro lingua, nel loro modo che anche lui conosce. Così lui sa anche trovare i soldi per fare la mostra e così via… mentre il nostro obiettivo è la gente comune. Infatti se si prende la media della gente che viene qui è gente comune.  
Il nostro modo di agire [promozionale, marketing] non si propone risultati immediati. In Slovenia si può fare un po' di marketing, siamo presenti nei giornali, nei media, nella Tv, quando vengono gli ospiti. Poi noi facciamo le cose, come quella cappella degli alpini (sulla Planica) che ci permettono di entrare nei medi, perché sempre ci devono essere delle attività, per essere presenti nei media. Però nelle nazioni vicine, come in Italia, Austria, contiamo sul passaparola dei visitatori. Professori di scuola, gente dell'università lo dicono ai colleghi, così si crea un circolo che in tre - quattro anni può già ottenere dei buoni risultati…  
L'anno scorso, 1995, sono venute al museo più di 70.000 persone, e per un Caporetto di 1200 abitanti, sono davvero una bella cifra. E non è neppure stato l'anno migliore, l'anno prima ci sono stati anche più visitatori, perché era ancora vivo il risultato della premiazione europea; c'erano tanti sloveni, curiosi di vedere di cosa si trattava. Secondo la mia opinione il livello di assestamento sul lungo periodo sarà sulle 60.000 persone/anno, fra le 60 e le 70.000 persone all'anno, e quella cifra ci permetterebbe anche di investire, di fare nuovi progetti con l'aiuto che si può trovare anche da fuori, dallo stato. 
Il nostro museo lavora ogni giorno dell'anno e con i visitatori ci paghiamo anche le spese, anche quelle del personale, perché siamo in pochi: c'è una che ci tiene la contabilità (una ragioniera), mentre il “prodotto museo” è coperto da due persone, anche se di fatto siamo in tre, però uno solo è a tempo pieno, mentre io e un mio collega siamo a metà tempo (part time) e di due facciamo come uno, per quanto riguarda il costo.
Personalmente nell'altra metà del tempo lavorativo sono free-lance: guida di montagna, non sportiva ma storica, ma con quello non si vive, si va nella montagna: viene poca gente, non è una tradizione, come nei luoghi svizzeri, forse anche perché la gente non lo sa. Però io più di tanto non ho interesse per questo, perché d'estate c'è tanto lavoro qui al museo, e allora mi resta più tempo per l'inverno e così posso studiare o fare una seconda attività. Comunque non faccio una gran pressione per guadagnare tanto, per me quello che è più importante è la qualità della vita. Ho un figlioletto, “il principe” [sta aspettando il papà, che gli deve preparare i pattini a rotelle], devo poi pagare per mandare la figlia a scuola di italiano, l'ho proprio in questi giorni mandata a Venezia, a un corso di lingua presso l'Associazione Dante Alighieri: 700.000 lire per tre settimane, più mantenersi in città. Siamo gente seria, che sa dove investire! 
C'è inoltre il collega che è a tempo pieno, fin dall'inizio dell'attività del museo. Le altre persone che si vedono lavorare al museo sono “a contratto”, e in questa maniera ne possiamo disporre solo quando ne abbiamo bisogno. Ne abbiamo una certa lista di cui nessuno è sicuro che sarà chiamato anche all'indomani, così si sente spronato a far un buon lavoro, così ha probabilità di venir chiamato ancora, se invece non fa un buon lavoro, niente. Siamo molto duri! Per noi è importante la qualità del lavoro, perciò abbiamo una politica di avere più gente di quanti in realtà ne abbiamo bisogno, a disposizione nella lista di attesa. Se si facesse un sindacato delle guide del museo, sarebbero dei guai! 
Da un punto di vista burocratico e di legislazione del lavoro la situazione è piuttosto complessa. Il governo voleva che la gente fosse impiegata in senso classico, con tutte i dovuti versamenti per la sicurezza sociale, e in questa maniera, se non si prende una persona a tempo pieno, ma solo a contratto (per poche ore o pochi giorni) le tasse da pagare allo stato sarebbero il 100x100 di quello che si paga al lavoratore, cioè tantissimo, troppo. Per fortuna siamo riusciti a trovare un modo di diminuire i costi, abbiamo fatto tutte le carte per la gente, per quasi tutti quelli che sono qui, che risultano autonomi. Così si pagano meno tasse che non lavorare a contratto. In questa maniera ci stiamo dentro a pagare il personale e anche a mettere da parte qualcosa.
Però le nostre paghe qua sono … quello che lavora a tempo pieno guadagna sul milione al mese, mentre quelli che lavorano a metà tempo come me sono circa 500.000 lire. Ma faccio la guida dei presidenti degli stati esteri che vengono in visita, del ministero della difesa, per arrotondare!
A Redipuglia la cosa principale è l'ossario, e c'è poi solo un piccolo museo della Terza Armata. Redipuglia è il luogo dove il 4 novembre gli italiani si ricordano della vittoria e del prezzo; comunque essendoci stata alla fine la vittoria, del prezzo ci si dimentica.  
Caporetto invece ricorda la disfatta, e se si vuole che la gente si faccia un'idea completa ci si deve ricordare della vittoria ma anche della disfatta. 
A dirigere il museo, più che una persona è un gruppo che lavora in team, e ogni decisione, si tratti di spese, si tratti del design, tutto viene deciso in team, in squadra. E in questa squadra già ci sono stati dei cambiamenti, dall'inizio, ma proveniamo tutti dal gruppo presente in quella prima riunione. Poi ci sono dieci guide  […],  poi altre sei-sette persone che si danno il turno qui in cassa, per i biglietti, le cartoline, ecc. Siamo insomma circa 25 persone che lavorano al museo. Se poi si pensa agli artigiani che ogni tanto ci fanno qualche lavoro per il museo, si può dire che su 1200 persone del paese, una certa percentuale hanno un qualche rapporto di lavoro col museo. Ed è questo che fa il museo, che lo caratterizza. È un museo democratico, se lo si guarda in questo modo. È un museo democratico perché lo maneggia, e il lavoro lo fanno le persone del luogo, non sono impiegati dello stato, e anche questo è importante. 
Perché, questi sono discorsi lunghi, si parla ad esempio in Canada, che fanno il museo della cultura degli indiani del nord, ma in quel museo c'è sempre un po' la cultura coloniale: è la cultura europea che parla degli indiani, sarebbe invece interessante vedere un museo degli indiani che parlano degli indiani, perché ci sarebbe diciamo un un'altra scala di valori, le cose sarebbero viste in un altro modo.  
Mentre il nostro è un museo della gente, per la gente; però questa è una ricetta che non dappertutto può funzionare. Io ho avuto dei rapporti con nostri impiegati dello stato presso altri musei e ho detto loro che non si deve mai pensare che il museo di Caporetto possa rispondere anche alle domande che si pongono in altre situazioni.  
Se parliamo ad esempio di un (curatore) responsabile di museo che volesse fare le ricerche, leggere dei libri, quello che hanno scritto gli altri e poi volesse cercare un argomento di cui scrivere lui stesso e scrivesse … se poi guarda duecento persone in un mese ecco che gli sembra di aver fatto un grande lavoro, perché si pensa che il curatore di un museo deva fare le ricerche, partecipare ai convegni, e quindi se un curatore di museo fa anche la guida (come da noi deve fare) ecco che lo fa per forza, non lo fa con passione.
Invece ci vuole a far quel lavoro gente che vuole far quel lavoro, che non si sente frustrata a farlo, perché la nostra funzione, qui al museo, è di presentazione della storia, non la ricerca. Che ci deve essere, ma è solo una parte di quello che deve essere un museo, non lo scopo di un museo.  
Riguarda alla [mia] proposta di associare al museo una biblioteca, un centro di ricerca… … Cimprič  dice che Likar ha sempre avuto l'idea di una biblioteca […]
Lato B
Noi vendiamo anche libri, provenienti anche da Italia e Austria (da cui non guadagniamo molto). Vogliamo che la gente si renda conto che ci sono vari punti di vista, e può appoggiarsi al nostro racconto e a quello dei libri che qui può trovare…  
Le dieci guide di cui si parlava prima sono guide del museo (all'interno) ed ognuna ha una qualche miglior conoscenza di una lingua straniera. Poi ci sono le guide più specializzate nei bambini, altre con i combattenti e i veterani, altri in tedesco, in inglese. Inoltre noi che siamo impiegati facciamo anche la guida, così il museo è più indipendente, non dipende dalle guide, e nel caso ci fosse uno sciopero noi possiamo far lo stesso (scherzando!). In realtà il motivo per cui la gente del posto fa la guida, solo in parte sono i soldi, c'è più la passione, il prestigio di lavorare in una istituzione come il museo, inoltre possono far la figura di “chi sa”, poi anche si esce dalla casa, dal piccolo luogo in cui si vive e si incontra così tanta gente. Ogni guida viene pagata 750 talleri all'ora, una paga discreta ma è un lavoro duro, se si deve parlare per un'ora di seguito “si perde l'ossigeno”, e certo non si possono fare 8-10 ore al giorno. Secondo me è un lavoro che è più difficile che non fare il muratore, e qui i muratori prendono 10-12 mila lire all'ora.  
Dall'Italia alcune scuole sono venute, da Gemona, da Treviso, accompagnate da professori che hanno visto il museo e che per propria iniziativa portano qui un gruppo… ma un discorso con le scuole è possibile qui in Slovenia, con l'Italia è pur sempre un altro stato, ci sono delle difficoltà.
Una cosa che si potrebbe apprezzare da parte italiana l'ex ambasciatore italiano Solari che era qui a Lubiana aveva molto interesse per questo fronte e sempre diceva che qui i monumenti sono rispettati, non sono rovinati dalle scritte, dagli spray…  
La cappella Bes sulla Planica è stata restaurata come era, solo l'aquila non c'era: è stata portata dal gruppo alpini di Bergamo. Le spese comunque le ha pagate lo stato, il ministero della cultura, perché con i nostri biglietti d'ingresso non sarebbe possibile, perché si sono dovuti portare migliaia di chili di cemento particolare, lassù. Inoltre c'erano tutti i rilievi da recuperare.(Guardiamo il libro di Petra Svoljšak e le fotografie di Cimpric … la galleria invernale di strada Moistrocca… Na Gradu= sul Castello… Pod Klabuc = sotto il cappello … ) 
Sul Kolovrat c'erano delle trincee sistemate con pietre belle, squadrate, messe a secco, che gli abitanti dei nostri paesi si sono prese e portate nei cortili. Una volta mi capitò di accompagnare un cliente di San Donà sul Kolovrat, faccio per mostrargli una trincea di cui conoscevo l'esistenza, arrivo sul posto e non la trovo più: trovo solo i segni di un tratto di terreno smosso … Qui nei paesi si possono vedere tanti cortili o muri fatti dalle pietre delle trincee italiane.
Sul Kolovrat c'erano decine di kilometri di trincee, io ho delle carte delle isoipse di scala 1:1000 (la stessa del plastico del Monte Nero nel Museo) sulle quali ho ricostruito la disposizione delle trincee italiane, anche di quella “di congiunzione” che c'era sul culmine. 
(Ulteriori mie richieste di informazioni su singoli luoghi e foto) 
(15:12 ) FINE
 

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