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venerdì 16 maggio 2014

Intervista a Janez Fon, nato a Ladra (frazione di Kobarid/Caporetto) il 21.11.1904

Nastro 1996/7 - Lato A  [da 07:20 su cassetta originale]     29 agosto 1996

 
00:23 Inizio registrazione unica (cassette unite)
Ho sempre lavorato e ancora lavoro, ma soltanto per passare il tempo, quest'anno ne ho prodotti abbastanza fagioli, ma l'anno scorso non ne ho fatto nemmeno un capello, a causa della siccità.
Ho fatto il militare a Genova
Quando sono arrivati gli italiani io abitavo sempre a Ladra e siamo rimasti in paese per 14 giorni dopo che sono arrivati gli Italiani; dopo ci hanno fatto sfollare.
Quando sono arrivati per la prima volta io ho i campi anche dall'altra parte, verso Caporetto eravamo io, mia madre, mia sorella che è ancora viva. Eravamo lassù, e i bersaglieri andavano da Caporetto giù al ponte. Erano a piedi e io dicevo alla mamma: “guarda là quei neri, quei neri”, perché i bersaglieri avevano quelle piume. “Ci sono i neri”, e abbiamo tagliato la corda! Siamo scappati a casa, per la paura. I bersaglieri venivano avanti nascondendosi dietro il muro (un po' curvi). Eravamo io mia sorella, mia mamma e una nostra vicina. 
05:55 Mia mamma si chiamava Filomena, ma è morta già da trent'anni (era del 18 … ?).  Mio padre si chiamava Giovanni come me ed era del 1866; era nato quella volta che gli austriaci si erano ritirati dal Veneto. Anche il padre di mia moglie quella volta ha fatto tutta la ritirata da Milano fin quassù.
Quando abbiamo visto arrivare i bersaglieri siamo scappati a casa. Era prima di mezzogiorno, e dopo, alla sera, venivano già, facevano il ponte…
08:52 Il ponte di Napoleone l'avevano già fatto saltare quella notte in cui è stata dichiarata la guerra.
Noi siamo stati qui 14 giorni, e guardavamo sempre su per il Monte Nero, come andavano su.
Da Luico venivano giù le truppe e arrivavano per Idrsko (Idresca), ma venivano anche dalla frontiera di Robič, che anche allora era proprio così come è tuttora.
Già il primo giorno si vedeva movimento di pattuglie sul monte qui davanti che è il Matajur, poi il terzo giorno hanno iniziato ad andare quassù sul Monte Nero.
A Caporetto non sono arrivati subito il 24 maggio, ma un giorno dopo.
Le truppe italiane venivano da tutte le parti: da Robič, da Bergogna (Breginj), da Tarcento e Platischis, da Luico (Livek). Poi, in parte andavano giù verso Tolmino e in parte andavano su per il Monte Nero.
I soldati austriaci erano in tutto una cinquantina di guardie territoriali, erano tutti dai 35-40 anni in su.  
14:14 Avevano la caserma a Caporetto, anzi erano due le caserme, a Caporetto; poi in una di quelle due caserme si stabilirono i carabinieri e nell'altra invece i soldati alpini italiani. Le due caserme si trovavano una passato il museo  e la casa c'è ancora, ma l'hanno adoperata quelli della fabbrica TIC (e mi sembra che lavori ancora quella fabbrica, perché sono due anni che non vado a Caporetto, ci andavo in corriera. La Tic faceva aghi da cucire, e con quello si era fatta un nome, poi però faceva anche tutti gli altri articoli).
Gli austriaci, quando sono arrivati gli italiani si sono ritirati, senza sparare, sopra il Monte Nero. Non hanno sparato neanche un colpo, perché non avevano neanche le munizioni. Facevano i mucchi di sassi, e poi quando gli italiani avanzavano glieli tiravano addosso! Tutti i soldati austriaci che si sono ritirati, erano tutti dai paesi qui vicino, da Idrsko, da Breginj. Ce n'era qua uno da un paesetto sopra Kamno, da Selce. In quel paesetto c'era uno di questi soldati, che non era sposato e si chiamava Francesco. E gli altri gli dissero: “Tu Francesco fai la sentinella, perché tu non sei sposato e noi altri abbiamo la famiglia”. Tutti prepararono i sassi e quando venivano su gli italiani li hanno colpiti con i sassi, perché munizioni non ne avevano. Forse hanno portato un cinquanta chili…
19:00 Gli austriaci avevano poco da mangiare e su sul Monte Nero c'era un gregge di cinquanta pecore che erano già all'alpeggio e con quelle pecore hanno mangiato, perché solo il primo giugno è arrivato il mulo con rifornimento, proveniente da […?]
Noi bambini ci comportavamo da bambini. Noi abitavamo in quelle case basse e un giorno arrivò un alpino dell'artiglieria di montagna e ricordo ancora oggi quello che ha detto “Ti, ciò, sono passati avanti i muli?” e io, quando venne mia mamma, le dissi che un soldato mi aveva detto Ciòccio avanti muli!
Noi non capivamo la lingua, però c'erano in paese delle donne che erano state a servire a Trieste che parlavano il triestino, ma la lingua triestina non è lingua italiana e non è neanche friulana. Ad esempio, “la ga dìto” in italiano sarebbe “Ha detto”, no? È il dialetto triestino. Da Ladra saranno state tre o quattro le donne che erano andate a servire a Trieste e queste donne si facevano capire con gli italiani parlando il dialetto triestino.
I primi giorni che sono andati su, una compagnia italiana non voleva andare su per il Monte Nero… [24:55 fine nastro 1996.07.A - cassetta originale]

Nastro 1996/7 - Lato B

25:03 In quell'occasione, proprio qui sopra, sul Nag Loch, hanno sparato a mio zio. Era lui, sua moglie e una figlia, la più grande. Erano in tre che stavano preparando il granoturco per “dargli la terra” dove c'erano due gambe ne lasciavano una, preparavano. E in quel momento, erano là sul campo (quando hanno iniziato a sparare) e per prima la figlia è corsa a ripararsi sul fossato, poi sua moglie e alla fine mio zio Matija. Io ero qua sul torrente, dove adesso c'è la sega. Avevo una pecora, due agnelli e stavo pascolando proprio dove ora c'è la segheria, lungo il torrente Ročica. Quando ho sentito sparare sono corso a casa con la pecora e gli agnelli. Furono sparati tanti di quei colpi che le foglie di un noce che si trovava sulla loro traiettoria caddero, come fosse il mese di ottobre.
Mio zio è stato colpito con una pallottola alla testa e gli sono state buttate fuori le cervella e la stessa pallottola colpì poi sua moglie. 
29:54 Il dottore che la visitò disse subito però che non sarebbe guarita, perché si trattava di pallottole avvelenate… Dopo tre giorni li hanno messi su un carro e li hanno portati a Caporetto dove adesso c'è la pescheria e lì è morta e l'hanno seppellita sotto un albero (è morta dopo tre giorni); noi poi siamo partiti per Berginj. Erano pallottole già adoperate in Africa, dove chi veniva colpito moriva … ma chi non moriva per la ferita sarebbe poi morto per il veleno.
Gli zii si erano trovati in mezzo ad una sparatoria fra una compagnia italiana che non voleva andare al fronte e altri soldati italiani che invece volevano mandarli su. Gli italiani si sparavano fra di loro.
Nel frattempo è arrivata alla prima casa del paese (dove c'era l'osteria) anche la figlia, dicendo che il papà era morto e la mamma era ferita. Allora anch'io sono corso dentro la casa per avvertire mia mamma che lo zio era morto, ma due soldati mi sono corsi dietro, mi hanno preso uno per parte e mi hanno portato dal tenente che comandava il plotone [che sparava agli ammutinati]. Quel tenente era ormai pronto a sparare anche su di me, ma la mia vicina, che era stata a Trieste a servire, disse al tenente che stavo andando avvertire la mamma che era morto lo zio. 
36:09 In quell'occasione, oltre allo zio, fu colpito anche un contadino di Smast che venne seppellito sotto un melo, lì al momento. Anche mio zio fu seppellito sul campo, dall'altra parte del torrente e poi nel 1918 mio papà l'ha portato al cimitero.
Erano comandati…
La questione è questa: mi raccontava un paesano, Giovanni Vrsič, che era stato in Galizia e in Russia proprio con le prime truppe che erano state lì … che c'era un capitano che, siccome due soldati si erano presi una pagnotta ciascuno dal carro dei rifornimenti, lui personalmente gli sparò. Era la disciplina, ma poi c'era un caporal maggiore che aveva del cuore il quale quando vide questa cosa ha sparato lui, a quel capitano. Allora arrivò il maggiore, a chiedere cosa fosse successo e il caporalmaggiore gli rispose: “Ho sparato io, e se qualcun altro si comporterà come questo capitano con i soldati, troverà la sua paga (dovrà pagare)”. Il maggiore voleva imporsi, ma il caporalmaggiore diede ordine al suo plotone di tenersi pronto a sparare e allora il maggior e quando vide come si era messa la situazione disse: “Lasciamo, lasciamo stare, andiamo avanti!”
41:15 In quei quattordici giorni che siamo rimasti a Ladra con i soldati, la vita andava avanti come prima, le vacche andavano a pascolare per i pascoli, al granoturco era ormai ora di dargli la terra; ma poi dovemmo partire.
È venuto uno là verso le nove. Diceva: “dovete ritirarvi in due ore”. Io ero vestito da casa; avevo gli zoccoli di legno. Le scarpe le avevamo sotterrate in cantina. Quella volta lì non avemmo nemmeno il tempo di cambiarsi, perché ci avevano detto che dovevamo partire subito ma che entro due ore saremmo ritornati a casa. Così partii senza la giacca, con gli zoccoli. Se invece ci avessero detto che ci si doveva preparare perché poi saremmo andati via per molto tempo, mi sarei preparato, avrei preso la giacca, e invece quelle due ore sono durate due anni e mezzo.
Hanno detto che facevamo la spia e da Luico, da Idrsko, da Kamno, tutti ci hanno portato su a Breginj, in quei paesi da Creda in su.
45:42 Ognuno doveva arrangiarsi da solo e nel caso qualcuno non volesse partire, passava la cavalleria a convincerlo. La cavalleria era come una guardia, su e giù, su e giù con i cavalli, e noi a piedi ci siamo diretti nei nuovi paesi.
C'erano, (qui vicino) due persone: uno era sordo e un altro era giovane. Quello sordo aveva 23-24 anni, ma non era soldato perché era sordo, ma proprio sordo era. Quell'altro ragazzo era invece del 1898 e non era ancora stato chiamato alle armi; e quei due li hanno lasciati per condurre le bestie dietro di noi a Kred. Giunti a Kred i due non sapevano dove noi fossimo andati …
47:57 Il sordo si chiamava Franc Soudat e di quello più giovane non ricordo il nome perché era da Ternova e si trovava qui a Ladra da suoi parenti, comunque aveva nome Franc anche lui.
Da Kred li hanno mandati a Caporetto al comando di tappa italiano. Il più giovane lo hanno attaccato con una corda a un mulo e lo hanno fatto correre dietro al mulo da Kred a Caporetto.
Quel poverino che era sordo dicevano che faceva proprio a posta a non parlare, che faceva finta di non sentire, e poi… e poi tanto lo hanno battuto in ogni parte del corpo che in otto giorni se ne è andato [piange]. Ero anch'io presente, lì nella caserma a Bergogna/Breginj … non poteva stare in pace, [non trovava sollievo in nessuna posizione]. Gli avevano dato tante di quelle botte che era macchiato dappertutto, con il sangue raggrumato. Aveva dolori dappertutto e non poteva stare in pace nemmeno un minuto, si lamentava (con un filo di voce), piangeva, e in otto giorni se n'è andato.
Il ragazzo giovane invece poi è venuto su a Breginj e ha raccontato che l'avevano legato con una corda alla coda di un mulo e l'hanno fatto andare di corsa fino a Caporetto.
Delle vacche portate da Ladra ognuno ha potuto prendersi le sue e portarle a Bergogna; c'erano quasi tutte, solo qualcuna mancava, non le hanno rubate e a Bergogna mangiavano sul pascolo comunale. Noialtri restammo fino a dicembre, su a Breginj, e a un certo punto abbiamo dovuto vendere le vacche perché non c'era rifornimento, non si trovava più il fieno, ecc… così abbiamo dovuto venderle.
53:44 Le abbiamo vendute a quelli di quei paesi lì, che sono […], Platischis… (italiani del Friuli), che hanno approfittato: se era una vacca che valeva 150 lire, per modo di dire, ne davano 100, perché si approfittavano, perché vedevano che eravamo costretti a vendere, no?
Poi lassù è arrivato l'ordine: le famiglie che avevano persone che non lavoravano dovevano partire, e sono state spedite in Italia, nel mese di dicembre [1915].
Noi eravamo in cinque bambini, tre fratelli (il più grande aveva 13 anni, io 11 e il più piccolo ne aveva 8) e due sorelle, più la mamma.
Quelli invece che avevano più di 15 anni, ed erano in grado di lavorare, rimasero per lavorare sulla strada su per lo Stol, che era già iniziata.
Noi siamo stati portati dove c'erano dei frati, in provincia di Salerno, a Cava de’ Tirreni e in particolare in un paesetto più in alto che si chiamava Corpo della Cava, dove siamo stati profughi.

Nastro 1996/8 - Lato A

57:17 Il viaggio durò per una settimana. Da Bergogna/Breginj siamo stati portati a Udine con autocarri militari (con i camioni militari). A Bergogna ci avevano riuniti alla mattina e a Udine ci alloggiarono in un teatro e lì arrivavano da tutte le parti finché si riempì un treno apposta per noi, riservato solo ai profughi.
Mio padre era mobilitato in Austria, pur essendo del 1866. Era del Genio ed era quassù a Hermagor vicino a Villach. Lassù lui si trovava già da prima, perché in cinque del paese erano andati su. Era stato mobilitato perché aveva meno di cinquant'anni (ne aveva 48) allo scoppio della guerra, ma non è mai stato al fronte, fu messo a lavorare alle strade, alle trincee e fortificazioni. Fu anche qui dietro, sul Monte Nero, ha fatto tutto il fronte. 
01:02:10 Era caporale, e i caporali non lavoravano, sotto l'Austria, comandavano: avevano 7-8 uomini e con quelli … portavano le tavole della Val Lepena e dopo, nel 1917 lo hanno congedato perché aveva passato i cinquant'anni, e andò a Kranj, dove lavorava alla regolazione dell'acqua ed era assieme a uno di Boriana, un certo Michele, e con lui, appena i tedeschi hanno fatto l'avanzata di Caporetto, sono venuti a casa.
Nel frattempo, tre mesi prima dell'offensiva, anche noi eravamo ritornati su, a Logje questa volta. Lassù c'era la cugina di mia mamma e lì eravamo con il nostro prete di Libussina, si chiamava Giovanni Leban, e lì eravamo senza far niente, ma proprio niente.
01:06:14 A Corpo di Cava c'era un maresciallo dei carabinieri in pensione che gestiva un albergo in cui noi eravamo alloggiati noi. C'erano i vecchi, c'erano i bambini. Quel maresciallo lì era anche cuoco, e faceva da mangiare come fanno i napoletani laggiù. C'erano bambini e c'erano vecchi e non potevano mangiare quelle cose lì,  quelli che erano sani mangiavano ma gli altri non potevano. 
Allora hanno fatto la domanda, ne hanno fatta una, ne hanno fatte due per farsi dare i soldi direttamente a noi, ma niente. [Fine audio comprensibile di questo lato della cassetta]

(Solo testo; da qui alla fine della cassetta il nastro originale è rovinato) C'era con noi un molinaio di un paese quassù, di Smast, c'era il maresciallo che aveva questo albergo, poi c'era il Delegato e poi c'era il prefetto. Il prefetto era a Salerno, il Delegato a Cava de’ Tirreni e il maresciallo a Corpo di Cava e il maresciallo aveva tutto l'interesse che noi restassimo nel suo albergo. Dato che le nostre domande non avevano esito, il molinaio disse: “facciamole in una altra provincia” e così facemmo domanda ad Avellino. Il molinaio si chiamava Andrea Gregorčič. Con noi c'era anche il parroco di Libussina, e poi il parroco fu mandato in Sardegna, perché dicevano che era lui a sobillarci, a fare le domande, ma lui non c'entrava niente, era il molinaio a farle … Lì ho visto la camorra…
Siccome poi mia mamma aveva questa cugina a Logje, ci lasciarono venire su. Eravamo poche famiglie però (quelle che avevano i parenti dove poter andare).
Il trenino da Cividale verso Caporetto non arrivava proprio a Caporetto (dove vi fu portato solo dopo la guerra) ma fino a poco dopo Robič.
A Corpo di Cava de’ Tirreni, che paura che hanno avuto quelli lì, che paura! Noi eravamo al secondo piano e sotto di noi c'era un sarto, e sua moglie era piena di paura perché diceva che "vengono gli austriaci, quei barbari!".  Era tutta una propaganda! Correva voce che le nostre donne tagliavano le teste ai soldati feriti (sul Monte Nero), tagliavano le mani, eccetera. Tutta quella propaganda, c'era qua … e la moglie del sarto era tutta spaventata per l'arrivo di quei barbari. Noi invece.. anche la moglie si è resa conto che eravamo più buoni delle pecore.
Una famiglia vicino a noi aveva otto figli e il padre fu mobilitato…

1996/8 - Lato B   [audio regolare]

01:08:10 Mia mamma e la figlia di sua cugina erano in un negozio, quando eravamo profughi. È venuto un caporale nella bottega e chiese loro da dove fossero: "Siamo da Caporetto" risposero, da Ladra e Smast… "Uhh! " esclamò il caporale. “Lì è gente cattiva, lì hanno tagliato la testa ai nostri feriti, eccetera”, e le nostre donne a dire che non era niente vero…
Le racconto che verso il 1930 io ero stato a lavorare a Bretto di Mezzo [presso Log pod Mangrtom] alla centrale elettrica, e c'erano due cementisti, due fratelli da Cividale, uno Francesco e l'altro Marcello. L'assistente era da Plezzo e a volte veniva su da noi con la corriera, poi portò anche la bicicletta così alla sera tornava giù in bicicletta. Noi eravamo sul lavoro  e mi chiede “Da dove sei”  “Son da Caporetto, da un paesetto lì vicino, Ladra” … “Uhh!” mi fa. Lì, con la roncola, tagliavano le mani ai feriti italiani. Ci sono stato io lì, ha detto… 
01:12:04 Ma di che reggimento eri? gli chiedo. Ero del reggimento tal dei tali. Un battaglione era di qua del ponte a Ladra e un altro battaglione era di là del ponte  (allora non c'era nessuna casa, le hanno fatte solo di recente, dopo il terremoto)…
E qui c'era una compagnia formata da quelli che erano scappati dal fronte…
Io chiedo a Marcello: “Sei stato soldato?” "Sì … nel reggimento 102 e 43" … Bene io gli dico, sappi che quella volta lì i soldati erano armati fino ai denti, e secondo te loro avrebbero lasciato che una donna con una roncola (srp) tagliasse le mani ai soldati?!
E gli racconto che quando portavano un ferito erano in due che lo portavano, oppure in quattro che poi facevano la guardia con la baionetta in canna, e io le ho viste queste cose. Ed erano quelli che erano senza armi che dovevano stare attenti… “Sei stupido”, gli dicevo “perché credi alla propaganda … perché tu non le hai viste, non le hai provate di persona queste cose. Tu hai sentito soltanto la propaganda”.
01:16:34 Restando a Corpo di Cava … non ci siamo trovati male, alla fine. Ma all'inizio! Loro avevano paura.
Noi bambini si giocava, come fanno tutti bambini. Non si andava a scuola; io ho fatto soltanto tre anni di scuola, a Smast, prima della guerra. Dopo la guerra avevo tredici anni e qui la campagna era tutta in disordine e dovevamo mettere a posto tutto e così non sono più andato a scuola.
A Corpo, la mamma andava ogni giorno a lavorare a Cava, all'ospedale, non so se militare o che cosa, perché io non glielo domandavo, ma lì essa cuciva, e prendeva una lira al giorno. Inoltre il governo passava una lira di sussidio a chi aveva oltre 15 anni; da sei anni fino a 15 anni: 60 centesimi; fino a sei anni: 40 centesimi. Un chilo di arance costava dieci centesimi; un chilo di farina gialla per far la polenta erano venti centesimi (e si trovava). Il sussidio insomma serviva per sopravvivere e la paga della mamma era un qualcosa in più. Quella volta lì, in quel posto, nessuno comunque prendeva di più, mentre qua a Caporetto se lavoravano prendevano il doppio… ma laggiù...  Mia mamma andava ogni giorno in ospedale, partiva alla mattina e tornava alla sera, a piedi… e ci metteva quasi un'ora.
01:21:24 Qualche parola di dialetto locale, la prima cosa era "Mannaggia madonne! Eh che cazzo vòle? Eh, che cazzo guaglioncello austriaci! Eh che sti cazzo di filanciuoli di austriachi, màggnano, bevono e si futtano il cazzo". Volevano dire che i profughi sputavano, che non lavoravano, che non avevano voglia di lavorare…
[Invece] sa che abitudine avevano là? I ragazzi da 15 anni in poi (… mi sembra che ci fosse un'associazione di calzolai … ) fino 16-17-18 anni quei ragazzi non lavoravano. Niente, non so cosa facessero, così era. I contadini lavoravano, ma quelli in paese, che erano là, se ne stavano a passeggiare, non li ho visti a lavorare, forse qualcuno andava a Cava, ma in quel paese no.
01:24:17 In quel paese avevano una segheria a mano. C'erano dodici seghe, a mano e segavano castagni per fare le botti per il vino, e una volta segate le disponevano ancora fresche in un modo che le tavole si piegavano, come richiesto per le botti, (da sole, senza fuoco). Poi le tavole venivano a prenderle da un altro paese. A segare si mettevano uno sopra e uno sotto, tutto a mano. Anche con la quercia si può fare così, piegare il legno, se sistemato ancora fresco.
Le donne portavano in quella montagna carbone, e poi c'era come una teleferica con una corda di canapa. [non chiaro]
Altre parole del dialetto meridionale:  
01:30:50 “Oh, compà! su fessu te isse… ah, dimmepo” (sono fesso io o sei fesso tu?)
E qualcuno quando ci vedeva noi bambini: «Sti cazzi guaglioncelli dell'austrisce, magnano caap i cazzo governo nostro».

Nastro 1996/9 - Lato A

01:32:44 Io ho sempre lavorato sui campi, tranne un po' di tempo come muratore a Bretto (come stagionale). Non mi sono sposato, mio papà aveva la proprietà della terra, mio fratello, quello che è morto, è stato guardia di finanza italiana per 19 anni, io lavoravo a casa  […] (eravamo in casa solo io, mamma e papà). Un altro fratello era al campo d'aviazione di Lubiana… Io ho detto ai miei genitori: “Se non ho niente di mio io non vado chiedere a nessuna di sposarmi”, ma a me non volevano darmi mai niente perché c'era un altro fratello prima di me. Io non la chiedevo, la terra, perché non ero il primo. Se fossi stato il primogenito l'avrei chiesta. Mio padre doveva saperlo da solo che mio fratello aveva già preso la sua strada e aveva la sua carriera e quindi la terra sarebbe dovuta passare a me. Qui c'era la consuetudine che la proprietà andava al primo, mentre io ero il secondo. Solo quando avevo 52 anni è stata passata a me la proprietà, ma io ho detto loro: “Datemi quello che volete, ma io non mi sposerò più”.
C'era un decano di Caporetto che diceva: se non avete niente di proprietà per mantenere la famiglia, non sposatevi, perché da miseria nasce miseria: se si sposano due che non hanno niente quando crescono i bambini devono andare …
01:37:44 Mio padre è morto nel 1964: aveva 98 anni.
Mi hanno insegnato la religione cristiana, e la religione cristiana dice che quello che fa la sua provvidenza (del Signore) va sempre bene…
Ritorniamo a Corpo di Cava. Il parroco si era dato da fare anche lui per i profughi, e fu mandato in Sardegna; noi siamo ritornati dalle nostre parti, a Logje.
01:39:47 Durante la battaglia di Caporetto noi ci trovavamo a Logje. Quei giorni si sentiva bumbum bumbum: un rumore che se uno non l'ha provato non può capire. Su Plezzo e su tutta la frontiera continuava il bombardamento, di notte e anche di giorno [?]; gli animali se ne stavano tranquilli, non davano segno di irrequietezza, loro pascolavano tranquilli.
Il giorno dopo i soldati italiani si ritiravano. Eravamo là in paese e veniva un tenente con una compagnia per far vedere dove che si va a Platischis, chiedeva a qualcuno del paese che lo portasse per la strada giusta, perché da Logje bisognava prendere un sentiero per andare verso Platischis.
Quelli che lavoravano (operai) smettevano tutti, abbandonavano il lavoro.
I soldati che chiedevano la strada erano tutti armati. Quelli senza armi invece (i prigionieri) erano [dopo, quelli che] che venivano dall'Italia per Robič… e qui a Santa Lucia, uno era davanti e l'altro dietro , come le pecore,  ma due trecento uomini e ci chiedevano: “Quanto manca ancora per Lubiana?” e all'inizio della colonna c'era una guardia; un'altra era di dietro: solo due guardie per trecento uomini… A chi ci chiedeva di Lubiana noi rispondevamo “camminate, andate, e poi quando arriverete vi diranno basta”.
01:44:45 D. - È vero che gli abitanti di Breginj (Bergogna) si sono ribellati contro gli italiani in fuga?
R.- No. Quello no; dico io che no. Perché tutti gli uomini erano già mobilitati e quelli che erano rimasti non avevano né armi né niente, ma proprio niente. Tutta propaganda.  
Noi aspettavamo solo che tutto finisse per tornare a casa, a trovare le nostre case.
Il passaggio dei soldati è durato un giorno. Dopo il giorno del bombardamento, il giorno dopo, un gruppo, un reggimento, era già a Podbela. Noi bambini siamo stati fuori in strada a vederli passare, le donne e i vecchi se ne stavano in casa. Noi eravamo lì a guardare questi soldati quando dietro di noi ci siamo accorti che stavano sgombrando i covoni con le canne di granoturco (rovesciandoli), proprio dietro di noi; e noi via, ci siamo ritirati in casa.
Poi lì in paese c'era una decina di prigionieri italiani che imprecavano “Mannaggia colonnello” non ci ha lasciato scappare lungo il Natisone; quando la seconda linea era già dietro Staro Selo il colonello li aveva fatti tornar su in linea e così erano stati fatti prigionieri proprio lì in paese, a Logje. Mentre noi guardavamo il reggimento che era a Podbela, la pattuglia di austriaci aveva frugato nei mucchi di canne, gli italiani non hanno sparato neanche un colpo.
Dopo, alla sera , veniva avanti quel reggimento da Podbela, comandato da un
maggiore,  passano di lì per andare verso Robidišče e lì attraversano il Natisone e iniziano ad andar su. 
01:50:55 Era il mese di ottobre, verso le sei di sera, sull'imbrunire… e lì ( a P …?) gli italiani hanno fermato gli austriaci, hanno fatto resistenza. Lì si sentivano le mitragliatrici italiane e austriache sparare (le Breda), hanno continuato per mezz'ora, e il maggiore che comandava gli austriaci, precedendoli a cavallo è stato colpito ed è stato sepolto al cimitero di Logje. Gli altri morti sono stati seppelliti sul luogo in cui erano caduti. Era a metà montagna, in un fienile per andare a Robidišče, lo chiamavano Petrinov Senik [?]; poi hanno continuato verso Montefosca e verso la fortezza di Joànaz, e lì gli italiani hanno fermato gli austriaci per un giorno. Poi da Pulfero hanno cannoneggiato quel fortino e così sono riusciti ad avanzare così ho sentito dire mentre lo scontro fra mitragliatrici, quello lo ho proprio visto io, eravamo in cinque-sei bambini.
01:54:56 Gli italiani che erano in paese (mannaggia colonnello) erano stati costretti ad andare in linea, ma dalla linea erano scappati, e si trovavano in paese senza armi, quando sono stati fatti prigionieri. Quassù a Ladra, sopra a dove ci troviamo per l'intervista, c'era la seconda linea [?] una trincea. I soldati italiani sono scappati, lasciandovi dentro le armi, i fucili. Io sono venuto quassù, ho preso un fucile e sparavo, come niente fosse … e la guardia austriaca (che c'era nei pressi) gridava, era un uomo e mi prese il fucile, ma io andai in trincea e me ne presi un altro. Era ormai un dieci-quindici giorni dopo la battaglia e il fucile iniziava un po' ad arrugginirsi e l'otturatore non andava tanto bene, anche perché che forza avevo io allora?. Ho chiuso l'otturatore con la baionetta, dopo aver appoggiato la canna per terra … ho tirato il grilletto e si è spaccata la canna del fucile, perché la terra non permetteva la fuoriuscita della pallottola. Cosa sia successo dopo io non so, ma porto ancora il segno sulla testa, sopra la testa, una scheggia della canna vi si conficcò. Allora hanno chiamato il dottore militare che c'era a Caporetto e questi disse che se la scheggia fosse andata un millimetro più basso sarei rimasto lì. Non ero da solo, eravamo in più d'uno e stavamo pascolando le vacche (krave). Ormai i prigionieri che avevano lasciato le armi saranno già stati a Lubiana, se non a Beograd! La guardia si limitava a gridare di non sparare.
02:01:26 Ringrazio il signore che non abbiamo combinato più guai di quelli che abbiamo fatto.
C'era uno, quassù, Franc, quello di 19 anni di cui ho parlato all'inizio. Quello da lassù sparava verso Idresca.
C'era un ragazzo dell'11 che aveva una di quelle carabine, la caricò ma fu buttato per terra dal colpo … giocava!
Tutta la linea era piena di armi. Questa linea veniva dall'altra parte dell'Isonzo… non so se venisse dal Kuk…

1996/9 - Lato B

02:03:53 Questa era la seconda linea passava dietro a questo monte che si chiama Ladr […], ma andava sopra […] passava qui davanti dove ci troviamo per l'intervista, in mezzo a quel granoturco. C'era questa trincea e i soldati avevano lasciato le armi dentro alla trincea, dove si trovavano loro. Vi si trovavano fucili soprattutto ma anche mitraglie; c'erano le armi dentro come che i soldati le avessero lasciate lì per aver ricevuto l'ordine di lasciarle lì per terra! In quel giorno [della battaglia] al mattino alle 9 gli austriaci erano qui e alle 4 erano già a Pod[…], sempre il primo giorno. Venivano dallo Stol, vi era una compagnia di austriaci che sono andati all'assalto per tre volte dove gli italiani difendevano, prima di passare. Era sullo Stol e gli austriaci venivano dalla Žaga (questo me l'hanno raccontato).
02:09:00 Noi siamo ritornati qui a casa non più tardi del terzo giorno dopo la battaglia. Nella nostra casa e in qualsiasi ripiano di terreno, dappertutto c'erano (stati) militari italiani. Erano stati anche sul primo piano di casa e anche sotto il tetto, ed avevano lasciato lì tutto quello che avevano addosso. Nella mia casa gli austriaci hanno recuperato due carri di camicie e vestiario, giacche, pantaloni, scarpe; solo nella nostra casa.
Era la stessa casa in cui abito anche adesso. A Ladra i soldati italiani erano in tutte le case. Inoltre c'era forse un reggimento di soldati nelle tende (dietro al paese).
La nostra casa era sana, ma le mancavano le porte e i pavimenti erano bruciati, ma quelli non li hanno bruciati gli italiani, li hanno bruciati gli austriaci, tutti i pavimenti. La truppa veniva in camera e poi faceva da mangiare sul pavimento, faceva fuoco direttamente sul pavimento. Ancora oggi sotto il tetto (nel solaio) c'è il pavimento bruciato, non l'abbiamo più riparato, perché era bruciato soltanto dove c'era il fuoco. Cosi era la guerra! Poi c'erano quelli della Bosnia, perché erano quelli lì. Sono venuto io con mio fratello quello che è morto. Siamo venuti quaggiù, avevano la polenta fatta; mi sembra siano stati loro (della Bosnia, a far fuoco), mi sembra, perché io non li ho visti; certo non sono stati gli italiani, perché loro vi erano alloggiati.
Quando sono venuti i tedeschi mi sembra che anche loro, gli italiani, fossero ormai stufi di questa guerra.
02:14:37 Ti racconto che quella volta [prima della battaglia, al ritorno da Cava de’ Tirreni] che siamo stati alloggiati dai carabinieri di Udine, quello volta ho visto una cosa che non mi può andar fuori dalla testa. Poveri di(sgraziati); erano soldati scappati dal Monte Nero, e quella volta lì li hanno battuti per bene, e poi li abbiamo visti sul treno (che ci portava da Cividale a Caporetto), legati per dieci, li mandavano di nuovo al macello, legati per dieci. Quando noi eravamo dai carabinieri si sentiva che li battevano con dei manganelli e poi dieci alla volta legati li mettevano sul vagone e li mandavano qua sul fronte. Noi siamo scesi a Robic e loro venivano avanti, a  Sužid… erano giovani, e ci dicevamo, ma dove siamo? li mandano proprio al macello, quella gente lì, ma con che spirito, con che voglia quelli lì potevano difendere…
Anche altre persone si sono fatte male con le armi lasciate per terra a Ladra dai soldati italiani. Un uomo era in Italia e nel 19 è andato quassù sul Monte Nero; ha trovato armi, bombe a mano ecc
Uno qui di Ladra ha toccato con la pala un pezzo di dinamite, qui vicino, sul ponte. Mio fratello era qui sul campo, vicino a dove ora c'è il granoturco … e c'era una bomba a mano vicino al ponte che portava a Idersco, e le linee italiane passavano sotto al ponte. 
02:20:17 Era un ponte grande di forse duecento metri fatto dagli italiani… fatto con travi da 60, era proprio un bel ponte. Noi non l'abbiamo visto quando lo costruivano perché eravamo profughi, lo abbiamo visto solo più tardi, quando siamo tornati a casa. Il ponte ad un certo punto iniziò a marcire nella parte superiore, aveva bisogno di essere riparato, ma il comune di Caporetto non aveva soldi per ripararlo, non gli conveniva, era ormai nel 1926-27; poi è durato ancora qualche anno. Fu verso il 1930 che venne demolito; vinse l'asta un impresario, lo stesso che aveva la fornace di Caporetto, si chiamava Moro, da Cividale. La fornace si trovava dove adesso c'è la segheria di Caporetto, era una fornace di mattoni, di coppi, costruita da questo italiano, che si riforniva di argilla sul posto. La fornace ha funzionato anche dopo l'ultima guerra, quando c'erano qui gli slavi, ha chiuso dopo il 1950, ma non ricordo in che anno.
Mio fratello Joseph, un giorno era qui vicino al ponte Ladra-Idrsko e batteva così, con un sasso, su una bomba a mano, e in quello passò per il ponte un croato che gli disse
02:24:46 “Cosa fai, mali (piccolo)? Cosa fai, mali?”; gli portò via dalla mano la bomba e la lanciò, facendola scoppiare, e poi gli disse: “Guarda cosa ha fatto”! Mio fratello invece la toccava come un giocattolo.
A Bergogna erano quattro ragazzi e giocavano con granate e bombe a mano […]
Il croato passava per il ponte … e io mi sono detto “quello era un angelo” (venuto a proteggere mio fratello, un angelo custode); la guerra era ancora in corso, sul Piave, quando successe questo episodio.
Noi siamo ritornati a Ladra nel novembre del 1917. Non abbiamo trovato niente; solo più su (in montagna) siamo riusciti a trovare qualche sacco di granoturco, castagne, patate e carote, pagandole con i soldi che avevamo ricevuto vendendo le vacche.
Al mattino si lavorava a mettere a posto la campagna e poi, verso le due si andava in cerca del mangiare, e fortunati a trovarlo. Si andava su verso il Matajur, a Strmec, in montagna, sulle case dei contadini, e noi ci consideravamo fortunati di averle trovate queste cose, anche se le abbiamo pagate molto care. Trovavamo la roba anche perché i contadini dicevano che quell'anno avevano avuto un raccolto superiore, perché si sapeva che questa gente aveva bisogno di approvvigionarsi… basso invece, nelle zone pianeggianti, non c'era più niente, tutto era stato sfruttato dall'esercito.
02:29:25 Io ti dico questo, che c'erano i nostri, le reclute di 18 anni che andavano a … Radkesburg [?] e là è vicino al confine ungherese. Andavano a cercare il pane in Ungheria; in Austria non c'era niente e in Ungheria invece trovavano da mangiare; lì trovavano e qua invece c'era fame e debolezza.
Noi siamo stati fortunati che abbiamo trovato castagne, patate, ecc…
In paese a Ladra, nell'anno che gli austriaci erano sul Piave, c'erano dei prigionieri che trasportavano le funi delle teleferiche, erano un cinquanta uomini, là. C'era un padovano, giovane, poverino che a Natale mi disse: “Sono passato per tutte le case ad augurare Buone Feste, e nessuno mi ha voluto dare niente”. E io gli ho detto, “cosa possono darti, che non hanno niente!” Questi prigionieri si trovavano dove adesso c'è la segheria, qua dietro il torrente; erano una cinquantina, o forse cento, trasportavano le teleferiche.
Io avevo 13 anni, ero un bambino. [Vedevo che] c'erano dieci tedeschi che sorvegliavano questi prigionieri, e qualcuno di loro ogni tanto si allontanava dal gruppo in cerca di qualcosa da mangiare, e ho visto come queste guardie davano le botte a quegli uomini, che non erano dei bambini come me, ma avevano magari 30 - 40 anni. 
E io mi dicevo, sono un ragazzo, ma se fossi un uomo non lascerei che mi dessero tante bastonate così, io non sopporterei e mi rivolterei contro. Le guardie erano dei tedeschi armati, ma quando picchiavano i prigionieri utilizzavano una frusta, come per i cavalli .

1996/10 - Lato A

02:35:22 Siamo a casa di Janes, al centro della sala da pranzo c'è una grande e caratteristica cucina economica, del 1927.
I prigionieri sono partiti da Ladra prima che ritornassero gli italiani, ma non posso dire con precisione quando, certo che sono rimasti per quasi tutto l'anno qui.
Mi offre del formaggio che viene da sopra Zatolmin … parliamo un po' di come lui vive, da solo. La settimana passata sono stati a casa sua dei parenti da  Sužid, che gli hanno imbiancato la casa.

02:40:20 Ricordo che due prigionieri una volta ammazzarono due topi, e poi tutti e due  li volevano, per mangiarli; avevano fame, altro che fame! C'era quella minestra di orzo, condita poco o niente e poi c'era la camorra italiana, lo racconto anche adesso…
Avevano qui una infermeria, quei prigionieri … e la gestiva un prigioniero che aveva il grado di sergente. Io sono stato ferito l'8 dicembre del 1917 e fui portato in questa infermeria, dove c'erano due infermieri. Il dottore veniva da Caporetto a visitare, qui invece c'era un infermiere sergente. Sa cosa faceva? Camorra! Camorra! Ai prigionieri veniva data una minestra che era già acqua, ma io non dico niente, non voglio dir niente ma anche gli austriaci, i soldati erano affamati, forse avevano anche loro acqua, come questi prigionieri qua, e ancora per quei malati, mettiamo erano cinque ammalati, quegli infermieri alle razioni che erano già acqua, hanno fatto ancora di più, hanno messo a scaldare nel forno che avevano nell'infermeria tre gavette di acqua e poi quando sono arrivate le cinque razioni per gli ammalati, ne hanno prese due e con quelle, allungandole con le tre gavette di acqua, hanno ottenuto cinque razioni, così hanno avuto tre porzioni supplementari per loro. 
02:46:00 Questo voglio dire, che camorra italiana!
Mio papà era in concentramento a Villach in Austria, vi erano ricoverati tutti quelli che avevano passato i cinquant'anni e avevano un chilo di pane in quattro uomini, inizialmente, ma poi gli diedero un chilo per sei uomini. Alla sera un po' di caffè e al mattino un po' di caffè. A mezzogiorno si mangiava così e così, un po' di patate, un po' di carne, un po' di brodo.
Sa che mio padre, essendo caporale, non lavorava (così fanno in Austria), e sono andati fuori su per la strada e hanno trovato quella radice selvatica (tarassaco) e la mangiavano, la mettevano dentro nel brodo, mettevano la radice in tasca e poi la tagliavano a pezzetti e la mettevano nel brodo. Così era già, nella primavera del '17, nel maggio, giugno del 1917. 
02:50:10 Era fame, altro che fame. Certi sono morti di fame.
Gli abitanti di Ladra invece in qualche maniera se la sono cavata. Abbiamo seminato l'orzo che matura a giugno, e con quello abbiamo fatto la prima polenta di quell'anno. Abbiamo fatto, quella volta, polenta con l'orzo, anche se l'orzo sarebbe da mangiare come il riso, si fa la minestra; noi ne abbiamo fatto polenta, una polenta di orzo perché altro non c'era.
Noi di solito si mangiava polenta col granoturco, e quando c'era granoturco noi eravamo dei signori…
I mocnik si lasciano più teneri della polenta…
Noi fino a giugno ce la siamo cavata con quello che avevamo trovato in montagna. Avevamo trovato fagioli, e quelli bassi che hanno in Carnia e poi un tipo che si semina dopo il grano, si chiama presut […?] un tipo di fagiolo che si spella come l'orzo (sono fagioli dai grani piccoli) e con quelli lì si può fare la polenta, ma si può fare anche il riso, risotto. Mi sembra che in Italia non usino questi fagioletti.
Nessuno delle autorità militari ci ha impedito di seminare i fagioli.
02:56:36 Degli ultimi giorni della guerra, l'ultima ritirata, ricorda che gli austriaci arrivavano qui in disordine e dopo hanno fatto la guardia slava, e qui in paese c'erano cinque sei che erano già arrivati a casa, quelli erano soldati armati, ma il resto che passavano di qua per andare in Austria erano tutti disarmati. Avevano fatto come gli italiani, l'anno precedente. Invece erano armate le guardie slave; non ricordo che ci fossero i "sokol"… ricordo invece che erano proprio delle guardie slave. Sokol invece era un partito, e quei cinque di Ladra erano in precedenza stati prigionieri in Sicilia. Il mio vicino di casa era stato invece in Russia a Odessa e ritornò nel ‘19, si chiamava Franz Skočir. Quella volta lì "si andava a casa", e nient'altro, come dopo l'8 settembre capitò a noi che eravamo soldati (italiani) in Toscana. 
03:01:15 Quando ci fu l'armistizio, tutti a casa. Noi non eravamo armati, perché eravamo un battaglione speciale… a noi il reggimento ci ha passato le armi, per far istruzione (alle reclute) e per imparare a tirare, ma quando ci fu l'armistizio, via, tutti a casa.
Questo mio vicino Skočir non aveva patito la fame da prigioniero, ma quando era recluta a Radkesburg, quando andava a fregare il mangiare in Ungheria. In Russia invece non si lamentava.
I quattro venuti dalla Sicilia, dicevano che quando veniva l'inverno in Sicilia diminuivano la razione (così mi hanno raccontato) ma del resto si trovavano fra contadini e quindi si sono trovati bene. Sa come diceva uno di questi? Diceva che era da un contadino e facevano formaggio e poi ricotta e per fare la ricotta devono fare fuoco e loro facevano fuoco con la paglia (!) 
03:04:09 In Sicilia sono furbi: nel '43 c'erano tre siciliani che erano stati mandati nella nostra compagnia, erano in Croazia e non volevano andare a scovare i "ribelli" e così sono venuti su, dove ci trovavamo noialtri, e lì ho parlato con loro. Dicevano: “Noialtri siamo siciliani, noi siamo interessati all'Inghilterra” … e per punizione sono stati mandati nella nostra compagnia e poi quando chiesero chi volesse andare a difendere la Sicilia si sono messi tutti quattro in lista, perché dicevano “quando vado in Sicilia, so ben dove andare!”
[N° di casa del testimone: Ladra, 17]

Nastro 1996-26 - Lato A  (da 25:12)         17 ottobre 1996          

Ritorno per scattare delle foto ai segni lasciati dai bosniaci che hanno acceso il fuoco sul pavimento del suo granaio, durante l'offensiva… i segni ci sono, ma è difficile renderli in foto… Arrivo a casa di Janez nel primo pomeriggio, quando ancora sta mangiando, con la radio accesa che si sente - dominante - durante la prima parte della registrazione.

03:06:55 Mi spiega cosa si è preparato per pranzo: una specie di frittelline…
Si mette la padella su, e poi vi si mette dentro quattro cucchiai di farina … non riesco più  a seguire … poi uova, poi un po' di zucchero.
La sorella ancora viva si chiama Maria e abita a Sužid, vicino a Caporetto.
Quando siamo partiti da casa abbiamo nascosto le scarpe qui sotto, in cantina… e siamo andati profughi scalzi!       
03:09:14 Dopo che ho scattato delle foto in cucina, Janez si alza e mi accompagna nel granaio.    
Questa casa è stata costruita nel 1898 ed è rimasta sempre uguale. I segni li hanno lasciati quei bosgnacchi che hanno fatto fuoco qua e là. “Loro sono così” e poi dalle loro parti hanno le case solo di un piano, non a più piani come qui. [03:12:58 fine]

lunedì 12 maggio 2014

Intervista a Andrej Slavko Mašera

AUDIO  (Registrazione integrale originale senza editing)


Andrej Slavko Mašera - Caporetto

1995.01a  - 14 agosto 1995


[…] 
- Parla così bene l’italiano perché… 
Studiavo a Bologna.
- Lei è nato qui? [palazzo in cui ora è ospitato il Museo di Caporetto] 
Sì, qui, in questa casa, in questa camera. 
- Eravate proprietari? 
Proprietari. Quando è arrivato il terremoto del 1976, ha sgangherato tutta la casa ed è stato deciso di demolirla. Allora si è trovato un’architetta che capiva qualche cosa e ha detto: “Questa casa è unica, nella valle d’Isonzo. Non si può distruggere; si deve riparare”.
Mio fratello, sua moglie e i suoi nipoti non avevano tanti soldi. Sono 600 metri quadrati di tetto e loro hanno costruito un’altra casa … 
02:58  A me interessa soprattutto il periodo di Caporetto, ma prima mi dica la sua data di nascita e il suo nome. 
23.6.1906, Andrea Mašera. 
- E Slavko è il soprannome? 
Mia mamma voleva Slavko. Quando m’hanno portato in chiesa a battezzare, il prete ha detto: “Cosa, questi nomi moderni? Il nonno è Andrea, il bisnonno Andrea, anche questo sarà Andrea”. E così m’hanno dato il nome Andrea, ma mai mia mamma mi ha chiamato Andrea.
Mi sono laureato in chimica a Bologna. Lavoravo nell’industria: 42 anni, più o meno, sempre nell’industria degli oli. Ho cominciato a lavorare in uno stabilimento di colori, e lì la base è l’olio, poi ho cambiato e sono andato a Dubrovnik ed ero direttore di un oleificio. 
- Era sotto l’Italia? 
No, sotto la Jugoslavia. […]
Appena scoppiata la guerra, lei si ricorda…
Sì, ricordo quando sono arrivati gli italiani: i bersaglieri, erano. Ero bambino, dieci anni.
Era il 23 di maggio [1915] verso le dieci, mi pare. La caserma era qua vicino a noi. Hanno suonato l’allarme. Noi non sapevamo cosa fosse l’allarme, questo suono. Invece arriva mio padre, qui in cucina e dice: questo è allarme, vuol dire che qualche cosa è successo. E allora uno si è incamminato verso la caserma che è qui a 100 metri di distanza. Diceva: “L’Italia ha dichiarato la guerra all’Austria.
Oh, confusione! Gente che cominciava a piangere, cosa succederà …
Il 23 con calma andiamo a dormire; il 24 attendiamo che arrivino le truppe italiane: non si vedono. Se fossero stati svelti avrebbero potuto prendere nel sonno tutti i soldati austriaci; ma erano ben pochi, erano quelli territoriali. Il 24 non c’erano e sono arrivati solo il 25 maggio. 
- Avevo letto che erano arrivati già il 24.
08: 11 Laggiù a Idrsko sono arrivati, ma non a Caporetto. 
- È sicuro? 
Possiamo controllare questa data, può darsi che sbagli.
Sono davanti alla casa con mio padre e vedo … e dico “Padre: donne in bicicletta”. “No, dice mio padre, sono soldati italiani”.
Erano i bersaglieri con i cappelli! Io non avevo mai visto una cosa simile. 
- Come si chiamava suo papà? 
Alberto. Aveva capito che cominciava la guerra.
Pian pianino sono andati su, verso il ponte. Hanno visto che il ponte era distrutto, il cosiddetto “Ponte di Napoleone”, che non è effettivamente di Napoleone, perché è stato costruito da questa gente qui… 
- All’epoca, magari, di Napoleone. 
Prima! 
- Cosa avete fatto voi quando sono arrivati questi soldati. Ha detto che c’era gente che piangeva… 
Niente, siamo rimasti. La gente era preoccupata, aveva paura che succedesse qualche cosa. Invece non è successo niente di grave. 
- Come si sono comportati, quando sono venuti qua, i soldati italiani? 
Mah, i soldati italiani… il comando vedeva dappertutto spie. Così hanno arrestato qualcheduno, senza motivo e senza grandi conseguenze. 
- La vostra famiglia è rimasta? 
Noi siamo rimasti qui. 
- Altri del paese, invece, sono scappati? 
No, no. 
- Ah, non ci sono stati profughi! 
No. Sono andati via due-tre impiegati dello stato, ma la gente è rimasta qui. 
- E così dopo si è fermato il fronte. 
Sì, si è fermato e la vita continuava. 
- Ma dov’era il fronte, esattamente? 
Là, dall’altra parte dell’Isonzo, sopra Dresenza, Monte Nero, Monte Rosso, Sleme. 
- Quanto lontano da qui, dal centro. 
Poco. Dresenza sono 5 km […] è un paese abbastanza grosso, c'ha una chiesa molto grande; se avete tempo si può andarci, da lì si può vedere molto meglio.
Il fronte si è stabilito, qui era fronte stazionario. 
- Non si sentiva sparare? 
Sì, quando il tempo era buono e spirava il vento dal fronte allora si sentivano i colpi. 
- Ma la gente non è scappata. 
12:52 No, no. La gente è stata sgomberata da tutti i paesi della riva sinistra [dell’Isonzo]. Dalla destra è stato sgomberato Saga - Žaga, Serpenizza, Idrsko, e giù, verso Tolmino non ci sono paesi fino a Volzana - Volče. 
- E questi dove sono stati mandati? 
In parte qui su a Breginj - Bergogna, paese ancora in territorio austriaco, e in parte sono andati giù in Italia, in diversi luoghi. 
- E come mai, parte in Austria e parte in Italia… 
Mah! Perché hanno visto che non c’era più posto, io credo; questi erano paesi piccoli, non potevano accettare [altra gente]. 
- Sono stati gli italiani a sgomberarli. 
Sì, da questi paesi sono stati sgomberati dalle forze italiane 
- Invece sulla sinistra Isonzo sono stati sgomberati dagli austriaci? 
Sulla sinistra sono pochi paesi e per dire la verità tutti  i paese sulla sinistra sono stati sgomberati verso l’Italia. L’Austria è andata su sulle montagne… 
- Quando è venuto lo sgombero, qui a Caporetto? 
Pochi giorni dopo. 
- Anche voi, allora. 
No. Caporetto no. Caporetto era il primo paese con gli abitanti civili rimasti. 
- La vita funzionava. Andavate anche a scuola. 
Per molto tempo non c’era la scuola, i bambini erano lasciati più o meno alla strada. Poi, più tardi, un anno e mezzo dopo l’occupazione hanno formato delle scuole, e allora si andava.  [Era] per tenere questi bambini concentrati , che non andassero nel pericolo, per non dare fastidio ai soldati. 
- E a scuola, con la lingua, come facevate? 
Parlavano in italiano e non si capiva niente! Perché qui nessuno capiva una parola di italiano. Mio padre parlava due tre parole italiane, non so dove le avesse imparate.
- Cioè non esiste una minoranza italiana, qui. 
No, qui non esiste una minoranza italiana. Qui sono sloveni e non c’erano italiani. 
- Quindi la scuola era una scuola per modo di dire. 
16:43 È stata una scuola per modo di dire, per tenere i bambini radunati. Avevo un simpatico maestro. Si ingegnava di farsi capire qualcosa. Poi c’era una maestra … 
- Quanti erano questi bambini che andavano a scuola? 
È una domanda difficile, io credo una cinquantina, di sicuro. 
- Dov’erano le scuole? 
Giù in piazza … ma questa scuola è stata distrutta, era proprio dietro alla chiesa, dove ci sono i fruttivendoli, un pochettino più in là. 
- Così avete continuato a vivere normalmente. 
Sì. 
- Ma portavano anche un po’ di soldi, questi soldati italiani, chi aveva un negozio stava bene. 
Hanno aperto ad ogni seconda porta un piccolo caffè, ma alle 8 di sera era coprifuoco e si doveva chiudere. Erano chissà quante migliaia di soldati, dovevano aprire.. i soldati avevano un po’ di soldi 
- Quindi la popolazione di Caporetto è stata bene, per i soldi. 
Sì, io credo che la gente viveva discretamente, non c’era miseria, durante la guerra. Qualche donna lavava. Nelle case dormivano gli ufficiali, qualche lira cadeva… Io, per dire la verità, credo che durante il periodo della guerra non è stato male
- A casa vostra c’erano dei soldati? 
Non c’erano. Noi avevamo un negozio […] di generi alimentari.
Insomma non è che la popolazione si ribellasse a questi soldati.
No. La gente è stata tranquilla. Solo dicevano “vogliono commerciare questi grandi popoli con questa terra… Perché hanno detto all’Italia prenderete questa terra ma dovete andar con noi in guerra contro l’Austria. L’Austria è stata stupida a non voler dare questa terra […] 
Qui non si trattava di fare un esodo della popolazione. Questo è solo che… lo stato italiano pretendeva di aver diritto a questa terra. Invece io credo che non aveva diritto. Non parlavano italiano. 
22:27 Già che parliamo di questa cosa, io… pensiero personale, che gli italiani, soldati, i quali sono venuti qui, si sentivano ingannati. Perché dicevano: “Andiamo a liberare i nostri fratelli”, invece quando parlava con me non ci si capiva. Allora io penso che i soldati erano ingannati … perché prima di entrare in guerra in Italia era una grande propaganda per la liberazione di questa popolazione italiana. Invece quando sono arrivati qui … “Dove sono questi nostri fratelli?”. Ha capito? Perché anche il soldato, non è stupido… è più intelligente dei generali.
Dicevano “Andiamo a liberare”, ma cosa sono venuti a fare qui? 
- Però non è che si comportassero male, come soldati, nei confronti di qualcuno di voi… con le donne… 
Con tanti soldati, con tanta gioventù, quello non si può mai… si deve guardare così…
[Decimazione di Idrsko / Idresca, Alto Isonzo - Prima guerra mondiale]
24:19 [Gli italiani] erano ossessionati dal pensiero che fossero tutti spie. E così è successo qui giù a Smast un malinteso. Hanno sparato ai soldati, hanno detto “Eh, sono spie”. Hanno prelevato delle persone e allora hanno contato “uno, due, tre … dieci”: fuori! - E sei sette [sono stati fucilati]. 
- In che paese esatto, questo? 
Smast, Kamno. Da questi due paesi hanno prelevato. 
- In che periodo? 
All’inizio. 
- E la popolazione, cosa ha detto? 
Un pochettino si è depressa, nessuno se l’aspettava. E poi hanno costatato che non corrispondeva alla verità.
Io conoscevo uno che era lì, fra quei sei, e quando me lo racconta dice: un ufficiale mi guarda e mi fa così sulla faccia… dice “tu sei troppo giovane, via!”… aveva 15, 16 anni. Dopo hanno preso un altro.
Lo conoscevo ma non ricordo come si chiamasse … se lo rintraccio glielo comunicherò. 
- A  parte questo episodio, altre cose sono successe contro la popolazione?   
28:20 È stato internato mio padre, ma non ha mai detto perché. Chi lo sa? Lui non è stato giudicato, solo l’hanno obbligato di andare a Cuneo. Una bella città!
Siamo andati anche noi, dopo, quando è stato bombardato Caporetto, la mamma ha detto: “Il padre è a Cuneo, andiamo là anche noi”. 
- Vi è rimasto per tanto tempo? 
È venuto a casa due-tre mesi prima dell’offensiva. 
- Definitivamente? 
Sì. Libero.
- Ma il motivo per cui fu internato? 
Non si è mai saputo. A Cuneo era libero come un signore. 
- Aveva soldi, allora! 
Sì. E non riceveva quel minimo che avrebbe dovuto percepire di sussidio, vedevano che non ne aveva bisogno. Siamo rimasti lì a Cuneo un cinque mesi. Poi quando ci hanno scritto che tutto era quieto, che non bombardano più, siamo ritornati 
-  Quando c’è stata l’offensiva voi eravate qui? 
Eravamo qui.
- Che cosa ricorda? 
Ricordo benissimo. Quella notte noi siamo andati a dormire, in questa casa [dove ora c’è il museo]. E qui da noi viveva un maggiore d’artiglieria. Verso le due noi sentiamo un rumore, su , in questa sala, e lui viene a picchiare sulla porta dove dormiamo noi e dice: “Comincia l’offensiva, andate via, perché Caporetto sarà bombardata ”.
Noi abbiamo i cavalli…    31:45  Fine lato A della prima cassetta. (Trascrizione integrale ex novo, 12 maggio 2014)